Senti che bel vento. E' questo lo slogan che campeggiava sui manifesti affissi dal PD dopo l'affermazione dei quesiti referendari. Un giusto giubilo mi son detto, anche perché ho pensato, con la mia innata ingenuità, che la parola raccogliesse non solo l'occasione di una “botta” al governo Berlusconi, ma anche il portato, il sentire generalizzato di un elettorato sempre più critico verso gli assunti liberisti.
Da semplice militante ho partecipato a Casale ai molti banchetti del comitato referendario (ora giustamente trasformato in comitato per i beni comuni) e ho registrato con favore, benché fosse confluita solo nell'ultimo periodo, la presenza di militanti del PD: un promettente allargamento della coscienza e della lotta per il “comune”, mi son detto. Siccome ho l'inveterata abitudine di “dare al meglio” le posizioni di tutti, persino quelle degli avversari politici, oggi intendo porre qualche domanda a quei militanti a seguito di ciò che sta accadendo in queste ora durante la drammatica discussione largamente bipartisan della manovra finanziaria nazionale.
I fatti: alcuni potenti settori del PD di diversa connotazione interna stanno chiedendo e ottenendo dal Governo una forte accelerazione della politica delle privatizzazioni. A esser messe sul mercato non saranno solo ENI, ENEL o Finmeccanica, ma anche le municipalizzate, senza toccare l'acqua perché forse pare brutto. In relazione al patto di stabilità i Comuni che venderanno per primi saranno premiati, chi vorrà resistere sarà penalizzato. L'operazione è attuata, con ogni evidenza, attraverso la completa sparizione del risultato di uno dei due referendum sui servizi ed è dimentica del fatto che per una misura similare abbiamo già pagato una salata sanzione a Bruxelles.
La concitata discussione parlamentare di queste ore sta dunque mettendo a punto il preciso rovesciamento dello spirito referendario e non so se e in che modo si potranno manifestare reazioni sufficientemente consistenti per fermare questa ennesima deriva verso il sommamente ideologico adagio : la gestione dei servizi, del “comune” è resa efficiente solo dal privato.
Ecco allora le domande ai militanti del PD che hanno attraversato in qualche modo la stagione referendaria. Pensate che il tema del “comune”, di una proprietà altra tra privato e Stato, sia una strada da percorrere di fronte a un'economia che sempre di più vuole estrarre valore (rendita) dall'appropriazione e dalla mercificazione di sfere decisive per il singolo e per la vita associata? Pensate che la sperimentazione dei beni comuni possa aiutare la crescita della libertà politica intesa come reale possibilità del cittadino di partecipare e contare nelle decisioni che disegnano i processi sociali? Credete o no che la recente vittoria dei referendum sull'acqua non possa essere relegata a uno snodo simbolico e che invece debba essere produttrice di un allargamento della sfera del “comune” fuori dal mercato? Le decisioni che alcuni settori del vostro partito stanno sostenendo con l'accordo governativo sono tese a disporre “on the market” anche, per fare alcuni esempi lampanti, il trasporto pubblico locale, i rifiuti, le farmacie comunali. Non sono forse anche questi servizi assimilabili alla revisione possibile della teoria e della pratica dei beni comuni? Infine: non credete che disattendere sostanzialmente e platealmente il risultato referendario sia anche politicamente dannoso e controproducente? In questi ultimi e travagliati mesi abbiamo assistito (creduto di assistere ?) a una promettente riconversione su due fronti. Da una parte i movimenti hanno provato a immettere nella loro azione una certa dose di “politica”, connettendo i diversi temi (beni comuni, nucleare, ecc.) in un orizzonte antiliberista in maturazione. Dall'altra è parso che anche la politica, pure in un sistema bipolare con l'orticaria per i rivolgimenti sociali, avesse riconosciuto, “socializzandosi”, il valore del lavoro sociale senza pretendere di sequestrare totalmente la rappresentanza. Non credete che tradire lo spirito referendario significhi ora condannare al fallimento questa “doppia possibile rinascita”? Che devono pensare gli elettori che vedono il loro voto così calpestato? Perché consegnare nuova e sempre maggiore linfa all'antipolitica, a movimenti populistico estremisti o, peggio, a gruppi della destra estrema?
Uno degli elementi più potenti che alimentano la disaffezione alla politica da anni è la crescente distanza tra il dire e il fare. Se ancora oggi siamo disponibili a far vincere la cosiddetta responsabilità strumentale, è perché riteniamo giusto o comunque praticabile l'atteggiamento di chi, prima di decidere politicamente, tiene accuratamente separati fatti e valori. Che ne pensate, cari militanti casalesi del PD?
Naturalmente non è a me che dovete risposte. Forse qualcuna la dovreste sostanziare dentro un rapporto di massa o almeno dentro la rete di relazioni che il Comitato casalese per i beni comuni garantisce. Quel che è certo è che “il bel vento” è già finito e temo ci si debba attrezzare per contrastare una allucinata “bonaccia” degna dei migliori film di Herzog.
Alberto Deambrogio - Rifondazione Comunista–FdS
Da semplice militante ho partecipato a Casale ai molti banchetti del comitato referendario (ora giustamente trasformato in comitato per i beni comuni) e ho registrato con favore, benché fosse confluita solo nell'ultimo periodo, la presenza di militanti del PD: un promettente allargamento della coscienza e della lotta per il “comune”, mi son detto. Siccome ho l'inveterata abitudine di “dare al meglio” le posizioni di tutti, persino quelle degli avversari politici, oggi intendo porre qualche domanda a quei militanti a seguito di ciò che sta accadendo in queste ora durante la drammatica discussione largamente bipartisan della manovra finanziaria nazionale.
I fatti: alcuni potenti settori del PD di diversa connotazione interna stanno chiedendo e ottenendo dal Governo una forte accelerazione della politica delle privatizzazioni. A esser messe sul mercato non saranno solo ENI, ENEL o Finmeccanica, ma anche le municipalizzate, senza toccare l'acqua perché forse pare brutto. In relazione al patto di stabilità i Comuni che venderanno per primi saranno premiati, chi vorrà resistere sarà penalizzato. L'operazione è attuata, con ogni evidenza, attraverso la completa sparizione del risultato di uno dei due referendum sui servizi ed è dimentica del fatto che per una misura similare abbiamo già pagato una salata sanzione a Bruxelles.
La concitata discussione parlamentare di queste ore sta dunque mettendo a punto il preciso rovesciamento dello spirito referendario e non so se e in che modo si potranno manifestare reazioni sufficientemente consistenti per fermare questa ennesima deriva verso il sommamente ideologico adagio : la gestione dei servizi, del “comune” è resa efficiente solo dal privato.
Ecco allora le domande ai militanti del PD che hanno attraversato in qualche modo la stagione referendaria. Pensate che il tema del “comune”, di una proprietà altra tra privato e Stato, sia una strada da percorrere di fronte a un'economia che sempre di più vuole estrarre valore (rendita) dall'appropriazione e dalla mercificazione di sfere decisive per il singolo e per la vita associata? Pensate che la sperimentazione dei beni comuni possa aiutare la crescita della libertà politica intesa come reale possibilità del cittadino di partecipare e contare nelle decisioni che disegnano i processi sociali? Credete o no che la recente vittoria dei referendum sull'acqua non possa essere relegata a uno snodo simbolico e che invece debba essere produttrice di un allargamento della sfera del “comune” fuori dal mercato? Le decisioni che alcuni settori del vostro partito stanno sostenendo con l'accordo governativo sono tese a disporre “on the market” anche, per fare alcuni esempi lampanti, il trasporto pubblico locale, i rifiuti, le farmacie comunali. Non sono forse anche questi servizi assimilabili alla revisione possibile della teoria e della pratica dei beni comuni? Infine: non credete che disattendere sostanzialmente e platealmente il risultato referendario sia anche politicamente dannoso e controproducente? In questi ultimi e travagliati mesi abbiamo assistito (creduto di assistere ?) a una promettente riconversione su due fronti. Da una parte i movimenti hanno provato a immettere nella loro azione una certa dose di “politica”, connettendo i diversi temi (beni comuni, nucleare, ecc.) in un orizzonte antiliberista in maturazione. Dall'altra è parso che anche la politica, pure in un sistema bipolare con l'orticaria per i rivolgimenti sociali, avesse riconosciuto, “socializzandosi”, il valore del lavoro sociale senza pretendere di sequestrare totalmente la rappresentanza. Non credete che tradire lo spirito referendario significhi ora condannare al fallimento questa “doppia possibile rinascita”? Che devono pensare gli elettori che vedono il loro voto così calpestato? Perché consegnare nuova e sempre maggiore linfa all'antipolitica, a movimenti populistico estremisti o, peggio, a gruppi della destra estrema?
Uno degli elementi più potenti che alimentano la disaffezione alla politica da anni è la crescente distanza tra il dire e il fare. Se ancora oggi siamo disponibili a far vincere la cosiddetta responsabilità strumentale, è perché riteniamo giusto o comunque praticabile l'atteggiamento di chi, prima di decidere politicamente, tiene accuratamente separati fatti e valori. Che ne pensate, cari militanti casalesi del PD?
Naturalmente non è a me che dovete risposte. Forse qualcuna la dovreste sostanziare dentro un rapporto di massa o almeno dentro la rete di relazioni che il Comitato casalese per i beni comuni garantisce. Quel che è certo è che “il bel vento” è già finito e temo ci si debba attrezzare per contrastare una allucinata “bonaccia” degna dei migliori film di Herzog.
Alberto Deambrogio - Rifondazione Comunista–FdS
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