giovedì 24 giugno 2010

Metodo FIAT

Vale sempre la pena ricordare un commento fatto dall’avv. Agnelli, nel 1992, a proposito della scelta di Silvio Berlusconi di cimentarsi nel confronto elettorale di quel periodo: se perde, perde lui, se vince, vinciamo tutti, ovviamente riferito al gruppo dirigente di Confindustria dell’epoca.
L’influenza del gruppo Fiat sulle scelte politiche e d economiche del nostro paese è cosa nota, ma anche quando si parla di accordi Fiat non si discute mai di un solo stabilimento, sono scelte che fanno scuola, ed è per questa ragione che l’accordo che si vuole far accettare i lavoratori di Pomigliano potrebbe ispirare nuove forme di contrattazione sempre di più senza regole. Infatti, con le richieste avanzate dalla Fiat, si dovrebbe cedere ad un vero e proprio ricatto o accettare condizioni di lavoro durissime, oppure delocalizzazione della produzione e conseguente disoccupazione. Prendere per la gola una fabbrica agonizzante e, anche grazie alla complicità di una parte dei sindacati ed ad un’opposizione inesistente, cercare di modificare alcuni diritti sanciti dalla Costituzione, come il diritto allo sciopero o i permessi elettorali, ed alcuni diritti previsti dello Statuto dei lavoratori, come il diritto alla malattia, significa soltanto cercare di riportare il mondo del lavoro al secolo scorso. Se dovesse passare il “ modello Pomigliano” ne risentirà tutto il mondo del lavoro, nessuna categoria esclusa. Per questo esultano i vertici di Confindustria, Tremonti, Sacconi e tutti quelli che vogliono un Paese dove non si pongono domande, dove l’informazione è spesso “drogata”, dove soggetti la FIOM vengono bollati come “comunisti” e magari gli operai di Pomigliano come “fannulloni”. Da molti mesi la Fiat pubblicizzati la “Fabbrica Italia” come tanto di spot di un papà con un bimbo in braccio accompagnato con le solite frasi retoriche sull’avvenire. Un avvenire in cui, se passano gli accordi di Pomigliano, questo bambino non avrà nessun diritto sul suo posto di lavoro, né quelli sanciti dalla Costituzione, né quelli sanciti dallo Statuto dei lavoratori. Si decide il futuro delle nuove generazioni anche di quelli che pesano che loro riusciranno sempre a cavarsela, fino a prova contraria.

Il Circolo del PRC di Pontecurone: “Lucio Libertini”

giovedì 3 giugno 2010

Al Compagno Enzio Gemma

Mai più di oggi servirebbe una presenza forte tra i compagni come quella del Compagno Enzio.
In questa seconda repubblica, che sempre di più si vuole fare allontanare da quella precedente ,mancano figure di spessore politico come il Compagno Enzio.
Gli uomini e le donne che hanno contribuito a ricostruire questo paese,dopo aver combattuto la guerra di Liberazione,rappresentano ancor oggi per molti di noi gli esempi
di come migliaia di persone abbiano sacrificato un pezzo della loro vita al fine di conseguire libertà e dignità.
Negli anni a seguire la fine della guerra fino ad oggi,Enzio non ha mai buttato alle ortiche la bandiera rossa per cui ha combattuto,fisicamente prima, e politicamente in seguito.
Da te caro Compagno vogliamo cogliere la tua coerenza e fedeltà per la causa a cui ti sei dedicato per tutta la vita.
Con te sempre!

I Compagni e le Compagne del circolo del Partito della Rifondazione Comunista di Alessandria

Sindaci e saltimbanchi

In uno dei recenti Consigli comunali ad Alessandria è successo qualcosa di strano ed inquietante, che vi vorrei brevemente raccontare. Le circostanze impongono la massima precisione. Giovedì 20 maggio si parla di bilancio. La discussione è animata, il clima teso. Ci sono molti punti controversi, e i tre revisori dei conti (i quali - ricordiamolo - sono stati eletti da tutti i consiglieri) sono chiamati ad esprimere un parere sui documenti presentati dalla giunta. Dall'opposizione abbiamo avanzato diverse perplessità, non solo per i contenuti 'politici' della manovra, ma anche per alcune cifre in senso stretto che ci sono sembrate poco chiare.
Non tutti i consiglieri hanno competenze tecniche adeguate. Io per primo, con la mia formazione filosofica e la mia inclinazione a studiare (e a insegnare) la politica nella sua dimensione più specificamente teorica, fatico molto a dovermi confrontare con i numeri. Ma qualcosa sono ormai in grado di capire, e decido di conseguenza che è tempo di esprimere con forza le suddette perplessità, in primo luogo di ordine politico - solo dismissioni e nessuna strategia di valorizzazione (ma questo è un giudizio di valore, e come tale certamente discutibile) -, e in secondo luogo chiedendo ragione di alcune operazioni contabili di dubbia legittimità. Non sono il solo a pensarla così. Molti consiglieri della minoranza hanno le stesse posizioni, e forse anche qualcuno della maggioranza, che però preferisce non esporsi... Ora, la miglior conferma (sinceramente inaspettata) dei nostri dubbi arriva proprio dai Revisori. Uno fra loro esprime addirittura parere negativo, e gli altri due un parere positivo ma con riserva, ossia condizionato a modifiche sostanziali rilevanti.
Un fatto evidentemente nuovo. La politica si scatena. L'assessore, il ragioniere capo e infine il sindaco difendono con animosità il proprio operato - invero, però, eludendo i rilievi più puntuali. Si criticano apertamente i Revisori e lo sterile "disfattismo" della minoranza. Infine, a tarda notte, si vota. Bilancio approvato. Dieci i voti contrari (le opposizioni unite), astensione dell'Udc - ma chissà dove si colloca il partito di Casini? In Provincia presiede un Consiglio di centrosinistra, in Comune si astiene su un bilancio - molto contestato - presentato dal centrodestra...
A questo punto il Sindaco si alza e pronuncia un discorso vibrante contro quei "saltimbanchi" che si permettono di esprimere valutazioni politiche, senza avere il titolo per farlo. Chiaro, almeno così appare a tutte/i i presenti, il riferimento ai revisori. Molto criticato dal primo cittadino anche il taglio strettamente tecnico che ha assunto la discussione sul bilancio. Cosa importano i numeri, quando in ballo c'è l'interesse della comunità tutta? E chi sono questi revisori per mettere in discussione l'azione dei membri della giunta, che ci "mettono la faccia" e hanno soprattutto l'investitura dei cittadini? Tali, se ben interpreto, i ragionamenti proposti da Fabbio, che ascolto con crescente sgomento.
Non so quanti dei presenti abbiano colto il senso del discorso pronunciato dal sindaco. Io chiedo subito la parola, rilevando anzitutto che quelle che Fabbio chiama "strutture burocratiche" in realtà sono organi di garanzia, e che i revisori dei conti non sono i servitori degli assessori, ma garanti e tutori indipendenti dell'interesse collettivo. Il loro operato è utile alla politica per ponderare meglio le proprie scelte. E lo stesso ragionamento si applica a tutti quegli istituti di garanzia che sono alla base del funzionamento di ogni democrazia rappresentativa compiuta.
Oggi invece sta passando un'altra concezione della democrazia. Riduttiva, molto riduttiva. La maggioranza vince e detta (o interpreta) le regole a suo uso e consumo. Punto. Questo non è un regime democratico, che invece - come dovrebbe sapere già uno studente al primo anno di Scienze politiche - si fonda anzitutto sul rispetto delle minoranze e sulla condivisione delle regole fondamentali. Altrimenti salta tutto. Si rompe l'argine contro possibili derive plebiscitarie e contro un Potere sempre più autoreferenziale.
In Italia, purtroppo, ne sappiamo qualcosa. Si esigono governi forti; si ottengono solo Parlamenti deboli, asserviti, impotenti. Tentazioni cesaristiche si diffondono dal centro alle periferie. Il potere dà sempre alla testa. Si inneggia - almeno per un po’ - all'uomo forte, legittimato per giunta dall'investitura diretta del popolo! Ecco allora che ci possiamo trovare sindaci compositori, poeti o cantanti (sic!); sindaci sportivi che si interessano e discettano di calcio, che amano e organizzano tornei tennisti ed esibizioni equestri; sindaci che adorano la piazza, i balli, le feste, e via dicendo... Pazienza se nel frattempo i conti in rosso impongono drastici tagli e vendite di beni comuni acquisiti in decenni di battaglie per dare più spazio al pubblico. Lo stesso concetto di "bene comune" oggi non è più di immediata comprensione, bensì sfumato, ambiguo, e sicuramente di minor fascino rispetto alla mostra dei fiori (o dei gatti, o dei fuoristrada, o di chissà cos'altro ancora) nel monumento simbolo della nostra città.
Non so se esista un antidoto efficace a questa deriva. Io insisto sulla partecipazione diretta dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. Ho letto con estremo favore la proposta rilanciata in una lettera di Delmo Maestri e Alfio Brina di sostituire le costose e spesso inutili "circoscrizioni" con i vecchi Consigli di quartiere (è stato del resto il primo emendamento al programma di mandato dell'attuale giunta che proposi in Consiglio comunale tre anni fa); Consigli basati sulla partecipazione volontaria, senza gettone e senza logiche di partito precostituite. Un modo, piccolo, per iniziare forse a invertire la rotta. Raccogliamo le idee e portiamole avanti. Altrimenti nulla ci salverà da chansonnier improvvisati e gare equestri nelle piazze cittadine.

Giorgio Barberis, Consigliere comunale PRC-SE