giovedì 29 novembre 2012

Sanità pubblica: è codice rosso! A rischio il diritto alla salute

Il ritornello è sempre lo stesso, ormai diventato simile alla musica di un disco rotto.Inizia sempre con il richiamo ad una crisi che ha colpito tutti, e rassicura sulla temporaneità dei provvedimenti paventati. Il direttore d'orchestra è ancora una volta tale Mario Monti, presidente del Consiglio italiano. Nel mirino dei suoi pensieri c'è questa volta il Servizio sanitario nazionale, la cui sostenibilità "potrebbe non essere garantita". Il rituale è sempre lo stesso; tessere le lodi, dispensareun'infarinata di nazionalismo, per finire con "una proposta che non si può rifiutare", come avrebbe detto Michael Corleone nel film “Il Padrino”. Ecco partire questa volta il missile sulla Sanità: "Andiamo fieri del nostro Servizio sanitario nazionale", ma occorre pensare a "nuove modalità di finanziamento per servizi e prestazioni.
La posta in palio è altissima. Bisogna individuare e rendere operativi modelli innovativi di finanziamento e organizzazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie". Ma cosa vorrà dire questa volta il Premier? Non è difficile aspettarsi in tempi brevi un attacco frontale verso la sanità pubblica. La continuità con il governo Berlusconi si evidenzia sempre di più; con l'aggravante che il "tecnico liberista", sempre più somigliante al sicario che non torna mai indietro senza prima aver portato a termine il “contratto” affidatogli, ha ormai dimostrato di voler mettere in pratica i suoi propositi. Sicuramente un motivo in più per temere che diventi realtà quel sogno berlusconiano di un modello sanitario privato. Il buon Monti "ha imparato l'arte e l'ha messa da parte", dispensando pillole di rassicurazione sul fatto che il governo sia un prezioso alleato della "galassia" sanitaria italiana. Intervenuto in videoconferenza a Palermo, si rivolge al comparto medico parlando di sfida per l'innovazione, non mancando di precisare come "anche l'innovazione medico-scientifica, soprattutto nella fase dell'industrializzazione, debba partecipare attivamente alla sfida". Traduzione di: "abbiamo messo le mani nelle tasche di tutti, non pensate di defilarvi dal dare il vostro contributo!" Dal quartier generale di Palazzo Chigi parte subito la secca smentita, precisando che Monti "non ha messo in questione il finanziamento pubblico del sistema sanitario, bensì, riferendosi alla sostenibilità futura, ha posto l'interrogativo sull'opportunità di affiancare al finanziamento a carico della fiscalità generale forme di finanziamento integrativo". Troppo complicato e machiavellico questo modo di gettare l'esca da parte del premier! Udite udite, persino il PD rimane sorpreso e preoccupato, tanto da sottolineare quanto "le parole del presidente del Consiglio preoccupano e stupiscono. Non sono infatti le parole che il governo, attraverso il ministro della salute Balduzzi, ha ribadito in più di un'occasione in parlamento e in altre occasioni pubbliche". La nota viene ripresa dallo stesso responsabile sanità, ed ex sindaco di Pisa, Paolo Fontanelli, che non manca di puntualizzare come "il servizio pubblico è stato oggetto di tagli molto pesanti e la legge di stabilità è stata ancora una volta l'occasione per ridurre i fondi per il 2012 e poi per gli anni a venire. Di fronte a questa situazione, le parole di Monti fanno immaginare come sempre più concreto il rischio di smantellare il servizio sanitario pubblico". A questo proposito, conclude Fontanelli, "i fondi per far funzionare il Ssn in maniera corretta devono essere trovati". Il fermento adrenergico portato dalle primarie ha forse dato una scossa benefica (o strategica?) alla dirigenza targata PD, tanto che sulla questione non manca d'intervenire con decisione anche la presidente Rosy Bindi, già ministro della salute, affermando che "Dispiace che il Presidente Monti sia caduto in un luogo comune - una sanità finanziata con risorse pubbliche sarebbe meno sostenibile di una finanziata con risorse private – che non è degno della sua preparazione tecnica e della sua conoscenza del mondo. E’ dimostrato dai dati empirici e non da teoremi ideologici: i sistemi sanitari più costosi sono quelli basati su finanziamenti privati o misti, pubblico/privato". La Bindi non sbaglia affatto, specialmente quando sottolinea l'inaccettabilità del fatto che pur di non gravare sulle risorse pubbliche si arriva persino a mettere a rischio il diritto alla salute! Resta il fatto che da secoli, tutti i governi (compreso il suo, cara presidente Bindi..) hanno affrontato la questione della "riforma sanitaria" mantenendo alcuni punti fissi che invece andrebbero ridiscussi. Per mettere mano ad una vera riforma sanitaria occorre prima di tutto rendere inamovibile il diritto di tutti i cittadini alla tutela della salute, evitando di gravarli con spese e ticket che negli ultimi anni hanno subito un incremento rilevante che non sfugge ad una analisi attenta; infatti se diamo uno sguardo alle tabelle si evince che la spesa sanitaria negli ultimi 10 anni passa da 69,3 mld di euro del 2000 a 110,6 mld di euro del 2010 (+60%). Il ticket medio pro capite passa da 14,3 euro del 2009 ai 21,8 euro del 2011 (+53%). I cittadini ormai dal 2012 acquistano con i loro soldi il 50% dei farmaci (6,3 mld di euro) rispetto alla spesa sostenuta dal Ssn (12,3 mld di euro), mentre la spesa sanitaria media pro capite nazionale resta quasi invariata negli ultimi 3 anni, da 1.782 euro del 2008 a 1.883 euro del 2010. A questo si dovrebbe aggiungere quanto emerso dal rapporto sulla spesa sociale appena pubblicato dalla Commissione Europea, dal quale si evidenzia che per il welfare l'Italia spende meno degli altri grandi paesi Europei! La domanda sorge spontanea: quanto incidono elementi come il rapporto medicina/industria farmaceutica, oppure gli sprechi e le rendite di posizione? E ancora, siamo sicuri che, visto la tendenza che porta la medicina del futuro ad essere sempre più orientata verso la cura geriatrica, a causa del progressivo quanto inesorabile invecchiamento della popolazione, non sia da ripensare lo stesso modello di cura che suggerirebbe l'incremento dell'assistenza domiciliare o delocalizzata, piuttosto che concentrata negli ospedali o nelle cliniche con una spesa senza dubbio maggiore ed un risultato meno efficiente? Il materiale è tanto, così come le varie tipologie e direttrici d'intervento. Quello che rimane come punto fermo è l'assoluta indisponibilità ad accettare modelli d'importazione (peraltro vecchi, visto che lo stesso Obama cerca di introdurre principi simili a quelli in uso nel welfare europeo "d'importazione") che ci farebbero tornare indietro di decenni. La stessa CGIL si unisce al coro di chi vuole alzare il livello d'attenzione sui propositi di Monti, ammonendo il governo che "non può permettersi certe preoccupazioni sulla sostenibilità del sistema sanitario nazionale dopo averlo ridotto all'osso. Se ha intenzione di privatizzare, come denunciamo da mesi, lo dica. Noi lo combatteremo. Ma non può affamare la bestia per poi svenderla". E così, anche l'ennesima battaglia contro le politiche recessive frutto del liberismo montiano, è dunque iniziata. Questa volta, probabilmente, con minori possibilità di riuscita.
Franco Frediani  

mercoledì 28 novembre 2012

ILVA, PESANTI RIPERCUSSIONI SUL PIEMONTE - NAZIONALIZZAZIONE COME VIA OBBLIGATA


La disastrosa situazione dell’ILVA di Taranto rischia di avere pesanti ricadute anche in Piemonte, negli stabilimenti di Novi Ligure e Racconigi. Come è noto, in queste due realtà sono a rischio un migliaio di posti di lavoro.
Come Rifondazione Comunista siamo ancora una volta al fianco dei lavoratori piemontesi dell’ILVA, che fra ieri e oggi stanno manifestando tutta la loro rabbia e la loro preoccupazione. e si preparano a partecipare alla manifestazione di domani a Roma.
E’ inaccettabile che siano sempre i lavoratori a pagare sulla propria pelle le scelte politiche ed aziendali miopi e sbagliate compiute in questi anni. La privatizzazione di settori strategici della nostra economia negli ultimi decenni ha prodotto solo disastri. Quello dell’ILVA è purtroppo l’ennesimo caso in cui la cosa si manifesta in modo palese. Il ruolo dello Stato deve tornare a essere quello di definire una politica industriale seria. In questo senso, la via della rinazionalizzare dei settori strategici della nostra economia, tra i quali la produzione di acciaio, appare sempre più come una via obbligata.


Armando Petrini, segretario regionale PRC Piemonte
Fabio Panero, segretario Federazione PRC Cuneo
Simone Subrero, segretario Federazione PRC Alessandria

domenica 25 novembre 2012

Raccolta firme referendum lavoro e pensioni



Continua la raccolta firme di Rifondazione Comunista e della Federazione della Sinistra per promuovere i referendum sul lavoro e sulle pensioni, che ci vede impegnati con i nostri banchetti in tutte le piazze del nostro paese.
Con i referendum sul lavoro ci proponiamo di restituire allo Statuto dei Lavoratori l'articolo 18 nella versione originaria, per rispettare i principi della Costituzione e rendere esigibili le decisioni della magistratura. La nozione giuridica secondo la quale nessuno può essere licenziato senza giusta causa e giustificato motivo deve essere ripristinata. Perché un'ingiustizia praticata ad uno è un'ingiustizia verso tutti. Non si tratta dunque di un problema di quantità numeriche, bensì di giustizia sociale.
Intendiamo , inoltre,  con il referendum sull'articolo 8 abolire le manomissioni e ristabilire la certezza dei diritti previsti e conquistati dal contratto nazionale. A parità di condizioni, vanno pretese regole generali che valgano per tutti i lavoratori di un settore e ovunque sul territorio nazionale. Alla contrattazione aziendale va restituito il giusto valore: ossia deve 'accompagnare' l'andamento dell'impresa - garantendo eventualmente tutele aggiuntive ai suoi dipendenti -, contrattare l'organizzazione del lavoro, l'articolazione degli orari e dei turni nell'ambito e nei limiti previsti dal contratto nazionale.
Con i referendum sulle pensioni invece vogliamo abrogare la riforma pensionistica voluta dal governo Monti e dal ministro Fornero, limitando a 62 anni l’aumento dell’età per la pensione di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti, abrogando gli  ulteriori aumenti dell’età pensionabile, che la portano fino a 67 anni nel 2021. Analogamente per le lavoratrici autonome resta il solo aumento a 63 anni.
Chiediamo, inoltre, che venga abrogato l’innalzamento legato all’aspettativa di vita che  avrebbe portato il requisito contributivo a oltre 44 anni nel 2027, che vengano eliminate l e penalizzazioni per chi con i 41 anni di contributi, va in pensione prima dei 62  anni di età e che per i lavoratori e le lavoratrici dipendenti con almeno 35 anni di contributi, vengono ripristinate le  quote della legge 243/2004 (che riguarda i lavori usuranti), la cui soppressione è una delle principali iniquità della “riforma”.
In questo modo si ripristina nella sostanza il sistema previdenziale precedente alla riforma, eliminando le principali iniquità ed intervenendo alla radice sul dramma delle lavoratrici e dei  lavoratori “esodati”.
Il circolo di Alessandria rimarrà aperto per chiunque volesse firmare per questi importanti quesiti referendari
Martedì 27: la mattina dalle 9 alle 11 e il pomeriggio dalle 14 alle 16
Mercoledì 28: la mattina dalle 9 alle 11, il pomeriggio dalle 14 alle 16 e la sera dalle 18 alle 20
Giovedì 29 alla mattina dalle 9 alle 11 e la sera dalle 18 alle 20.

Il Partito della Rifondazione Comunista di Alessandria.